La Luna
tra mito e poesia

Relatore: Guido Bellocchio

Per i Lunedì della Dante il 18 marzo il nostro conferenziere introduce la sua conversazione con il racconto di alcuni miti antichi ispirati dalla Luna e si sofferma sulle diverse interpretazioni che questo astro ha suscitato nei vari periodi storici. Così la vorace megera, che strema il Sole e lo fa levare pallido e smunto al mattino, dei miti primitivi africani diventa la crudele dea che ordina ai cani di sbranare il giovane Atteone, che l’ha vista nuda. La premonitrice di eventi funesti della classicità diventa ispiratrice di atmosfere favorevoli nel Rinascimento. Ma la Luna si ritrova protagonista assoluta durante il Romanticismo quando sono cantati i paesaggi notturni, malinconici e sentimentali che spesso rispecchiano lo stato d’animo umano.

Il relatore legge i versi più belli di due poeti inglesi dell’Ottocento:

Alla luna di Percy Bysshe Shelley

Sei pallida perché
Sei stanca di scalare il cielo
E fissare la terra
Tu che ti aggiri senza compagnia
Tra le stelle che hanno una differente
Nascita, tu che cambi
Sempre come un occhio senza gioia
Che non trova
Un oggetto degno della sua costanza?

È l’ora di George Gordon Byron

È l’ora in cui s’ode tra i rami
La nota acuta dell’usignolo;
È l’ora in cui i voti degli amanti
Sembrano dolci in ogni parola sussurrata
E i venti miti e le acque vicine
Sono musica all’orecchio solitario.
Lieve rugiada ha bagnato ogni fiore
E in cielo sono spuntate le stelle
E c’è sull’onda un azzurro più profondo
E nei Cieli quella tenebra chiara,
Dolcemente oscura e oscuramente pura,
Che segue al declino del giorno mentre
Sotto la luna il crepuscolo si perde.

Quindi passa ai Canti di Leopardi, nei quali la luna è confidente muta, compagna di viaggio, amante, alter ego del poeta, fredda e distaccata divinità della mitologia classica, entità metafisica portatrice di una conoscenza superiore a quella dell’uomo.

Canto notturno di un pastore errante dell’Asia di Leopardi

Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,
silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
contemplando i deserti, indi ti posi.
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
di mirar queste valli?

Alla Luna

O graziosa luna, io mi rammento
che, or volge l’anno, sovra questo colle
io venia pien d’angoscia a rimirarti:
e tu pendevi allor su quella selva
siccome or fai, che tutta la rischiari.

L’ultimo canto di Saffo

Placida notte, e verecondo raggio
della cadente luna; e tu che spunti
fra la tacita selva in su la rupe,
nunzio del giorno;

Più tardi sarà la poesia simbolista francese, che seguendo la filosofia bergsoniana, passerà dalla ragione alla intuizione, dai sentimenti alle sensazioni, dalla priorità del significato a quella del suono evocativo. Si ritrova nei versi di Paul Verlaine L’art poétique il manifesto di questa poetica, che in Italia è rappresentata da Gabriele D’Annunzio. Se in Leopardi l’astro era spunto per una riflessione filosofica, totalmente diverso risulta l’approccio di D’Annunzio: nella sua O falce di luna calante il poeta, ispirato da un tramonto lunare sulle acque del mare, rafforza l’origine sensuale della propria opera.

O falce di luna calante

O falce di luna calante
che brilli su l’acque deserte,
o falce d’argento, qual mèsse di sogni
ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!

Bellocchio chiude l’incontro con la lettura della poesia di Alda Merini:

Canto alla luna

La luna geme sui fondali del mare,
o Dio quanta morta paura
di queste siepi terrene,
o quanti sguardi attoniti
che salgono dal buio
a ghermirti nell’anima ferita.
La luna grava su tutto il nostro io
e anche quando sei prossima alla fine
senti odore di luna
sempre sui cespugli martoriati
dai mantici
dalle parodie del destino.
Io sono nata zingara, non ho posto fisso nel mondo,
ma forse al chiaro di luna
mi fermerò il tuo momento,
quanto basti per darti
un unico bacio d’amore.

Lori Carpi

ultimo aggiornamento della pagina: 31 marzo 2019