Da città ducale a municipio del regno:
il ruolo di Parma
nella storia dell’Italia moderna

Relatore: Gino Reggiani

Le vicende del periodo ducale della città di Parma e del suo passaggio allo stato unitario sono state oggetto della riflessione del 15 aprile di Gino Reggiani che ha condotto un percorso sintetico sulla città nella storia moderna, cercando di mettere in evidenza in particolare i rapporti che lo stato farnesiano prima e poi borbonico ebbe con il contesto nazionale ed europeo.

Lo stato farnesiano, come è noto, fu creato nel 1545 dal papa Paolo III per dare soddisfazione all’inquieto figlio Pier Luigi e nel contempo continuare a mantenere il controllo pontificio su un territorio di rilevante importanza strategica.

All’epoca la popolazione complessiva dello stato era di 266.640 abitanti dei quali 147.717 nel territorio parmense; l’economia fu sempre assai debole,un ceto imprenditoriale non fu mai favorito, i Farnese avevano mentalità di redditieri, venivano da una stirpe che si era guadagnata il patrimonio prevalentemente con le imprese militari, dunque puntavano decisamente al protezionismo economico ed alla raccolta delle risorse civiche attraverso onerose imposizioni fiscali:uno stato dunque opera d’artificio, non nel senso di artificiale, ché di tal genere sono quasi tutte le costruzioni politiche, ma piuttosto in quello di artificioso, perché fondato su radici fragili, totalmente privo di una memoria condivisa, per quanto frutto di un calcolo politico preparato da tempo grazie anche ai contatti internazionali con le grandi potenze del tempo Francia, Spagna e Impero.

All’interno dello stato la trama farnesiana è la più rilevante, ma rimangono attivi e sovente conflittuali con l’autorità centrale anche i poteri tradizionali (feudi, comune, istituzioni ecclesiastiche) e di tali contrasti si ha subito un segno decisivo e drammatico con la congiura della nobiltà piacentina che si conclude con l’uccisione del primo duca Pier Luigi.

In seguito, grazie ad una politica più accorta e rispettosa degli interessi delle parti in causa e ad una serie di legami matrimoniali che legano la dinastia farnesiana alle più importanti casate europee, lo stato si consolida e si sviluppa fino a giungere con Ranuccio I ad una situazione di stabilità che consente tra l’altro la progettazione e la realizzazione delle grandi edificazioni laiche e religiose dal Palazzo del Giardino alla Pilotta alla chiesa dell’Annunziata, mentre colui che è più ricordato nella grande storia, il terzo duca Alessandro, fu coinvolto in tutt’altre vicende, essendo diventato governatore delle Fiandre e forse tentato dall’idea di diventare sovrano di quelle terre più che del modesto ducato, rimase nella storia della città quasi esclusivamente per aver regalato a Parma l’idea della Cittadella.

Il quarto duca Odoardo si fece promotore della costruzione del teatro di corte (il Farnese) mentre il comune faceva edificare l’arco di San Lazzaro ancora esistente per celebrare le nozze del duca con Margherita dei Medici, figlia di Cosimo II de’ Medici, granduca di Toscana, e di Maria Maddalena d’Austria.

Ai fasti della corte si contrappone la miseria del popolo: almeno due terzi della popolazione poteva essere classificata come povera, al limite della sussistenza migliaia erano i mendicanti particolarmente numerosi sia in epoca farnesiana che borbonica a causa anche all’elemosina della corte.

L’equilibrio europeo, prodotto dalle guerre di inizio XVIII conclusesi con la pace di Aquisgrana del 1748, assegnò a Parma una nuova dinastia, che cominciò con Don Filippo di Borbone, erede dei Farnese per parte della madre Elisabetta e con lui entra in città la massoneria della quale Filippo fu probabilmente il capo e la città si calò nell’epoca dei lumi, il periodo più felice e fecondo dell’intera storia cittadina,anche grazie alla moglie Luisa Elisabetta, figlia di Luigi XV, che contribuì a portare a Parma la cultura francese in città tra gli altri Paciaudi, De Rossi, Petitot, Boudard, Levacher, Condillac, precettore del futuro duca Ferdinando, ma anche oscuri ma tuttavia utili artigiani, mercanti, imprenditori, soprattutto francesi; auspice e promotore di questa rinascita fu il ministro Du Tillot,che cercò anche di dare ossigeno all’economia stremata dalle spese di corte e dalla mancanza di attività produttive, impiantando nuove industrie (candele, maioliche, seta) che godettero del diritto di privativa (monopolio) e furono affidate e gestite da imprenditori stranieri e anche queste facilitazioni scontentarono operai e imprenditori locali.

Il secondo duca, Ferdinando, tiranneggiato dalla moglie Maria Amalia figlia di Maria Teresa imperatrice, era totalmente immerso nelle pratiche bigotte, tanto da osteggiare ogni riforma che avesse anche soltanto la parvenza di nuocere alla chiesa ed anche per questo allontanò definitivamente il Du Tillot, responsabile dell’espulsione dei gesuiti dal ducato, della soppressione dell’Inquisizione e di un gran numero di conventi.

Dopo la parentesi napoleonica il ducato, ricostituito con il Congresso di Vienna, fu affidato alla vedova dell’imperatore, Maria Luigia d’Austria: il buon governo della giovane ed irrequieta duchessa è un altro dei miti consolidati nella storiografia locale, per quanto assai poco sostenuto da dati obiettivi: le condizioni materiali e sociali non avevano infatti mostrato segni tangibili di miglioramento, tanto che la città nel suo complesso viveva ancora della rendita positiva dell’età delle riforme e dei provvedimenti emanati dal Du Tillot e dal governo francese nel periodo napoleonico e se qualcosa di buono accadde, regnante Maria Luigia, fu la clemenza, a volte la condiscendenza mostrata nei confronti di coloro che avevano collaborato con il passato regime, come di quelli che si definivano patrioti o liberali e che molto spesso provenivano da quella massoneria di importazione, verso la quale l’atteggiamento delle autorità fu generalmente benevolo.

Con la seconda guerra di indipendenza la città venne occupata dai Piemontesi e Luigi Carlo Farini, nella sua veste di “dittatore” degli ex ducati di Modena e Parma, indisse il plebiscito che aveva per oggetto l’unione alla monarchia costituzionale di Re Vittorio Emanuele II. Come è noto, la stragrande maggioranza degli elettori diede una risposta favorevole all’annessione.

L’ingresso della città e dei territori dell’ex ducato nel nuovo stato unitario ebbe all’inizio conseguenze negative; la debole economia parmense resse malamente all’apertura delle frontiere, il ricco patrimonio artistico raccolto nei secoli dai duchi fu in parte disperso tra le varie residenze del nuovo sovrano, l’università venne ridimensionata e spogliata della facoltà di lettere e, mentre la classe dirigente preunitaria quasi per intero venne cooptata al potere, le condizioni della popolazione conobbero addirittura un peggioramento, anche se naturalmente con il passare degli anni i benefici dell’appartenenza ad un grande stato nazionale sovrastarono i vantaggi goduti nel periodo dell’ormai anacronistico ducato.

Gino Reggiani

ultimo aggiornamento della pagina: 20 aprile 2019