La voce delle case abbandonate

Relatore: Mario Ferraguti

Le case si capisce che sono abbandonate quando sembrano finalmente stare bene con tutto quello che c’è attorno, e prendono i colori dell’erba, della pioggia, del vento, delle cortecce, dei sassi, dei rovi e della terra; quando sembrano ancora più leggere, anche se a mettere radici imparano dagli alberi.” (La voce delle case abbandonate. Piccolo alfabeto del silenzio)

È poesia di parole, immagini e musica quella che ci ha travolto lunedì 20 marzo alla conferenza di Mario Ferraguti: “La voce delle case abbandonate”.

L’autore del libro, accompagnato dal regista Andrea Rossi che ne ha curato il video, ci ha raccontato la sua casuale scoperta delle case disabitate, poi divenuta passione e smania per entrare e vedere. Pur insinuandosi come un ladro, un profanatore di qualcosa di sacro, si è reso conto passo dopo passo che i muri e gli oggetti in rovina si fidavano di lui e ricominciavano a parlare, dapprima piano, poi sempre più forte fino a raccontare le storie delle donne, degli uomini, dei bambini e anche degli animali che qui erano vissuti, fino a far sentire i loro calpestii dai suoni diversi.

Così Ferraguti ha acuito i sensi e la mente ed è riuscito a penetrare a fondo nei segreti delle cose lasciate, ricostruendo mestieri, giochi, malattie e miserie, in breve la vita quotidiana con l’acqua e il fuoco, con il pane e il companatico. Ha letto parole scritte sulle carte e sui muri e ha rintracciato identità e vicissitudini.

Il suo cammino lo ha portato lontano, dal monte al piano fino al mare.

Ha cominciato a scoprire le rosse Case Cantoniere lungo la Cisa, “che sembrano un plotone disperso di soldati lungo il ciglio della strada…”. Poi, nei boschi dell’Appennino, si è inoltrato tra i muri cadenti di paesini pronti a ritornare natura perché costruiti con i materiali del posto. Erano sassi e pietre e legno che torneranno sassi e terra e alberi; torneranno a invadere sentieri che erano strade, rive di ruscelli dove un tempo giravano le pale dei mulini. Ha trovato alberi “domestici” come il fico, il rosmarino, la vite e la quercia insediati da padroni nelle cucine e nelle stalle.

In pianura ha seguito la ferrovia per entrare nelle postazione dei casellanti, si è fermato davanti a desolate fabbriche con vetri rotti e parcheggi vuoti, poi ha esplorato le cascine della Bassa e i casoni in golena. Nel centro di Parma ha notato nidi di piccioni sui lampadari di un prestigioso e nobile palazzo, custode di un teatro privato, e l’abbandono della imponente villa del Vescovo a ponte Dattaro.

È arrivato infine al mare davanti ad una piccola casa rifugio di gatti, ramarri, bisce del collare, topi, uccelli, ragni e insetti. Qui, forse perché il vento porta dietro il sale o forse perché il troppo sole sbianca e abbacina, sostiene di aver provato la sensazione di respirare un’aria sospesa, di essere stato invaso da una sonnolenza che solo una mareggiata o un temporale possono spezzare.

Nelle sue incursioni si è accorto dell’ampia tavolozza dei colori delle case abbandonate, che dilavati dalla pioggia, screpolati dal sole e decorati dai rampicanti hanno assunto sfumature infinite e irripetibili. Ha annusato odori di muffe, di legni, di cortecce, di foglie bagnate, di marcia decomposizione e di terra buona e fertile. È stato testimone di equilibri precari e di crolli: travi, mobili, muri stanno a lungo in posa instabile e improvvisamente, per un colpo di vento, scivolano o precipitano diventando altro; lo schianto attraversa per un attimo l’aria, qualche roco rumore e di nuovo silenzio.

Ferraguti ha capito che ci si può fidare di una casa dimenticata solo se dentro si riesce a dormire e si rispetta l’usanza di cercare il suo angolo più buio, che va salutato con riguardo e alla dovuta distanza.

Ha scoperto anche l’abbandono del sacro: Madonne e santi nelle loro nicchie o cimiteri dove fiori campestri illuminano con le loro corolle lapidi, lampade e vasi in disfacimento disordinato.

Le letture del relatore sono state accompagnate da uno splendido video che ci ha fatto quasi provare le stesse emozioni del viaggiatore curioso che si avvicina guardingo alle abitazioni solitarie, ne scopre i tesori custoditi, li tocca e a volte li porta via. Abbiamo visto boschi avvolti nella nebbia che nascondono muri e tetti cadenti, abbiamo curiosato nelle stanze di persone partite per chissà dove, ci siamo interrogati sulle vicende di quegli uomini e sul senso della vita e sulla sua precarietà. Qualcuno di noi ha sentito il dolore della finitezza delle cose, altri la fiducia nella rinascita e nella continuità come suggerisce l’autore. Le immagini, i silenzi e le musiche magiche e struggenti ci hanno portato lontano, dentro alla nostra intimità.

Lori Carpi

 


 

ultimo aggiornamento della pagina: 16 aprile 2017