Il sipario del Teatro Regio di Parma

Miti e leggende nel sipario

del “Regio” della nostra città

In data 23 novembre 2013 nello splendido scenario rosso e oro del Teatro Regio la professoressa Maurizia Bozzini ha presentato la lettura illustrativa del sipario dipinto a tempera dal concittadino Gianbattista Borghesi, pupillo di Paolo Toschi.

La vista di tanta rara bellezza, solennità e dimensione ha suscitato non solo ammirazione e stupore, ma anche profondo interesse per l’originalità dei contenuti, di cui il “telone di gala” è permeato. Il pittore, infatti, rielabora con accenti personali miti e leggende degli antichi Greci.

Il racconto, tra significato e segno intesi come precettistica dell’arte figurativa, si snoda in perfetta armonia ed essenzialità, pertanto la rielaborazione personale dei fenomeni della natura e dello spirito umanizzati avviene in forma poetica e fantasiosa senza scadere mai nella fantasticheria o nel vuoto e riduttivo decorativismo.

Il sipario del Teatro Regio di Parma

 

In questa favola Mnemosine (la Memoria, madre delle Muse), depositaria della nostra cultura occidentale, ricorda al pittore Borghesi la sua virtù più pregnante e razionale: la ragione, che deve dare ordine alla vita pratica. Da tale contesto mentale scaturisce la funzione pedagogica e sociale dell’artista che sollecita il cittadino alla conquista di nuovi percorsi di vita rivolti all’emancipazione, al progresso civile, all’indipendenza del giudizio critico.

Ci inorgoglisce anche questa dote concettuale dell’artista parmigiano, infatti essa ci coinvolge in una empatica fruizione del suo indiscusso merito professionale e dell’impegno civile.

Mnemosine, nella sua esaustiva testimonianza, nel segno del ricordo indelebile, presiede al messaggio di questa opera d’arte e sembra esortare a fare nostra l’interessante levatura dell’artista votato alla facoltà della Ragione, della Bellezza e dell’Armonia.

Dei, eroi, ninfe, satiri, Muse si radunano in nobile consesso sul Parnaso per raccontarsi. Odi, amori, invettive, dolori, gelosie e riappacificazioni si configurano in virtù e vizi umani.

Il linguaggio pittorico del Borghesi si accomuna alla grazia e all’eleganza raffaellesca, al perfetto accordo con la modulazione nelle forme, nel tono, con andamento di chiaro idealismo geometrico. L’attenta e rigorosa ricerca di rapporti tra le figurazioni e i contenuti rivela, infine, una calibrata musicalità e un nitore d’insieme.

Il sipario è a carattere encomiastico, esplicito plauso a Maria Luigia, duchessa di Parma, per il suo sostegno alle arti e al suo buon governo ed è considerato uno fra i più belli d’Europa.

Ester Benecchi


Aggiungo una breve descrizione del sipario per tutti coloro che desiderano ripercorrere con la mente l’interessante conferenza al Teatro Regio di Parma.

Il sipario del Borghesi è largo 14 metri e cinquanta (cioè per tutta l’ampiezza del boccascena) ed alto 10 metri e cinquanta. Dipinto a tempera, rappresenta una grande scena tripartita.

Sul lato destro si ammira Minerva assisa in trono con le insegne del suo potere, l’elmo rostrato ed il mantello, nella mano sinistra il bastone del comando: ai suoi piedi la civetta, l’uccello sacro alla dea. Alla sua destra una ninfa guarda lo scudo deposto, simbolo di pace, dietro di lei le allegorie (significative quanto mai in un dipinto encomiastico) dell’Abbondanza, della Giustizia, della Pace.

A breve distanza Ercole (richiamo forse alla dinastia dei Farnese) e Dejanira, in alto, il volo delle ore, in ininterrotto cerchio che testimonia l’eternità del tempo. Sfumano dietro di lei figure umane che, con la cetra in mano, testimoniano del popolo che lei guida, com’ella amante della musica e del canto.

Sul lato sinistro del dipinto, la cima del Parnaso popolata dagli dei e dagli spiriti. Protagonista della visione è Apollo che suona la cetra, ai cui piedi, ammansito dal suono divino, sta un fiero leone; dietro, le tre Grazie. Alle spalle di un boschetto arcadico, anch’essi rapiti in ascolto del divino cantore, i grandi poeti: Pindaro, Omero, Virgilio e Dante e Ovidio. Alla destra di Apollo, tre muse, facilmente riconoscibili dalle loro insegne e dall’atteggiamento: Talia, che rappresenta la commedia, con in mano una maschera, Melpomene, la musa della tragedia, con in mano un pugnale, Euterpe, musa della musica, la lira appoggiata ad una spalla, il cui plastico atteggiamento sembra quasi un invito alla danza. Seminascosto dietro un albero, in atteggiamento quasi minaccioso, con una zampogna in mano si contorce il satiro Marsia, sconfitto da Apollo in una gara di flauto.

Al centro di questa grande scena, appena trattenuto dalle Muse, scalpita Pégaso, il cavallo alato nato dal sangue della Medusa decapitata da Perseo, che con un colpo di zoccolo aveva fatto scaturire dalle rocce la fonte della sapienza e della poesia da portare fra i mortali.

Infine si alza lo sguardo sul bellissimo soffitto dipinto dal Borghesi nel quale, disposti in giro intorno al fastoso “astrolampo”, il grande lampadario che pende al centro, stanno i grandi poeti e drammaturghi: Lino, Aristofane, Euripide, Plauto, Seneca, Metastasio, Alfieri e Goldoni, intrecciati ad altre mitologiche figure, e giustamente lasciati intatti da Girolamo Magnani, anche dopo il totale restauro della sala nel 1853.