15 ottobre 2018
Rossini e Verdi.
Un duello a distanza

Relatore: Giuseppe Martini

Nonostante nell’immaginario comune l’antagonista principale di Giuseppe Verdi sia Richard Wagner, Gioachino Rossini fu per Verdi inevitabilmente dapprima uno stimolo, poi un termine di confronto, infine una personalità ingombrante con cui spartirsi lo spazio divenuto oramai troppo ristretto del primato musicale nell’Italia unita. Sia chiaro: i due si stimavano professionalmente. Caratterialmente, meno. Ma il vero problema era la pressione che l’opinione pubblica esercitava nel continuo confronto fra i due, e che rapidamente scivolò a sotterraneo dualismo.

In realtà Verdi era cresciuto musicalmente sotto il segno di Rossini, come tutti i musicisti del suo tempo, e come tutti i musicisti del suo tempo ambiva segretamente a emularne la fama, la fama del compositore che aveva conquistato l’Opéra di Parigi: l’anno dopo Nabucco era andato a trovarlo a Bologna, pieno di ammirazione, e Rossini negli anni successivi gli scrisse varie volte, in due occasioni per chiedergli di scrivere un’aria ad uso di un suo protetto, il tenore Nicola Ivanoff: due lettere intrise di miele, a tratti anche molto, che tradiscono qualche ironica affettazione.

Se questa è la cronaca, le voci invece sembravano orientarsi diversamente, visto che gli aneddoti su battute di Rossini nei confronti di Verdi fioriscono: dall’innocua convinzione che Verdi è “non farà mai un’opera semiseria, come la Linda, e molto meno una buffa, come l’Elisir d’amore” alla battuta di fronte a una stampa intitolata Il sole della musica italiana con i ritratti di Rossini, Bellini, Donizetti e Verdi (“Avevo ben sentito dire che il sole avesse delle macchie, ma non avevo mai saputo che fossero verdi”).

A compensare, ci sarebbero anche testimonianze di elogi: Rossini che durante una conversazione include l’“Ave Maria dei Lombardi” fra i migliori pezzi religiosi contenuti in opere teatrali e la difesa assunta a favore di Verdi contro la asserzioni di alcuni amici a sostegno di una stroncatura delle Vêpres apparsa su un periodico francese. In quest’ultimo caso però, nell’osservare che Verdi andrebbe plaudito dove fa bene o ammonirlo dove potrebbe far meglio, Rossini “parve un po’ riscaldato e quasi offeso, come se ei credesse che fossero venuti là per dargli questa notizia per solleticarlo, o per avere una conferma delle passionate critiche”. È da questi piccoli segnali che si rivela la natura del problema di fondo: non una competizione personale, ma le ricadute di un atteggiamento dell’opinione pubblica.

A questa aneddotica rossiniana incline al motteggio si affiancava il silenzio di Verdi. Di rado lo si sorprende a commentare il carattere o la figura di Rossini, o almeno nulla o poco ci è rimasto in questo senso, e appena più spesso si tratta di elogi all’opera, per esempio alla comicità del Barbiere, o alla grandezza della sua mente musicale. Almeno fino al fatale 1868, anno della morte del pesarese. In quell’anno infatti una gaffe del Ministro dell’Istruzione Pubblica Emilio Broglio – che in un discorso sulla storia musicale ottocentesca in una lettera con la quale offriva a Rossini la presidenza di un’istituzione per la riforma dei conservatori di musica statali, ignorò le figure di Bellini, Donizetti e Verdi – scatenò una polemica infinita sui giornali che diede la stura da un lato a un non marginale dibattito sulla modernità musicale, dall’altro alla deflagrazione del dualismo fra Rossini e Verdi nella loro personificazione del passato glorioso e del presente problematico.

Si aggiunga il conseguente rifiuto da parte di Verdi dell’onorificenza della Corona d’Italia, che sentiva come un tentativo di sanare il pasticcio ministeriale di pochi giorni prima.

E si ha il quadro di un dualismo venuto finalmente alla luce sotto le mentite spoglie di una polemica contro la deludente classe dirigente postunitaria.

A complicare le cose si aggiunge una cavillosa polemica innescata da una richiesta a Verdi di un parere su Rossini per una pubblicazione dell’editore bolognese Guidicini nel 1873, alla quale Verdi non rispose, che aumentò la perplessità dell’opinione pubblica sull’atteggiamento di Verdi nei confronti del suo illustre predecessore.

Come uscirne? L’occasione fu offerta da Verdi proprio dalla morte di Rossini prima e da quella di Manzoni poi. Con l’idea della Messa a più mani in onore di Rossini, lanciata da Verdi e finita nel nulla per manchevolezze organizzative, Verdi uscì dalla difensiva dimostrando che il problema non era una sua presunta rivalità con Rossini, ma l’inettitudine degli altri. E con la Messa da Requiem in onore di Manzoni nel 1874, Verdi riuscì in un colpo a saldare il suo debito con la cultura musicale ottocentesca consacrandosi anche sul piano della musica sacra al pari dell’autore di Barbiere e Semiramide, ma anche di Stabat Mater e Petite Messe solennelle.

Da quel momento il dualismo sembra lentamente sfumare nell’opinione pubblica. Ma non fino in fondo per Verdi, neppure nel 1892, quando all’epoca del centenario rossiniano rifiutò l’invito alle celebrazioni pesaresi ma non poté farlo a quelle scaligere, per le quali – dopo svariati sfoghi privati con Ricordi – si decise a esibirsi in una delle performances a lui meno gradite, cioè l’esibizione di se stesso, in questo caso per dirigere “Dal tuo stellato soglio” dal Mosé. Fu l’ultimo vero incrocio con la figura Rossini mentre Verdi era vivo.

È una storia che, nata nel 1835 a Milano, finisce nel 1892 a Milano, con Verdi ugualmente nei panni di direttore. In mezzo, cinquant’anni e passa di una rivalità spesso sottaciuta dalla critica, anche recente, e a torto; non c’è alcun male, anzi è salutare e naturale, che due personalità di tale calibro avvertissero troppo angusto lo spazio per entrambi, e salutare per un Paese in formazione che questo dualismo suscitasse dibattiti e confronti sulla propria storia.

Ancora oggi i melomani sono in fondo divisi fra rossiniani e verdiani: il che ha un senso se non si tratta del puro gusto di dividersi per qualcosa, all’italiana, ma di farlo in nome di due modi di vivere la realtà come quelli che Rossini e Verdi hanno consegnato per sempre alla storia del teatro.
 

Giuseppe Martini
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ultimo aggiornamento della pagina: 13 novembre 2018